Cenni storici sulle Famiglie Pamphilj e Doria
La famiglia Pamphilj dalla quale sortì quel cardinale Giovanni Battista che ascendendo il soglio pontificio sotto il nome di Innocenzo X, doveva renderla famosa, era originaria di Gubbio e conservava vecchie tradizioni di nobiltà. Il pontificato di Innocenzo X non ebbe soltanto un’importanza politica che gli storici hanno riconosciuta ed apprezzata, ma quel pontefice fu uno dei più cospicui mecenati delle arti. La piazza Navona, una delle più belle di Roma e del mondo è un monumento della grandezza di Innocenzo X e del suo pontificato. Accanto al superbo Palazzo che il Pontefice volle destinare come sede alla sua famiglia, sorse il tempio di S. Agnese da lui fatto riedificare sul luogo che vide il martirio della vergine Romana. Presso la chiesa s’innalza il Collegio Innocenziano. Ma l’ornamento cospicuo di quella piazza è costituito dalle fontane che il papa Pamphilj volle affidate all’ardito genio del Bernini.
Di molte altre opere di abbellimento e di pubblica utilità Innocenzo X arricchì Roma. Fece portare a compimento, secondo i disegni di Michelangelo, i Palazzi Capitolini, uno solo dei quali, quello dei Conservatori era terminato al tempo di Urbano Vili. Costruì le Carceri chiamate Nuove in Via Giulia che furono allora giudicate il più perfetto stabilimento penitenziario del tempo. Volle restaurata la chiesa di S. Nicolò da Tolentino e adornò quella di S. Ignazio. Rivesti i pilastri delia basilica di S. Pietro con marmo, sui quali figura la colomba Pamphiliana. Amantissimo dei giardini fece sorgere la Villa Pamphilj sul Gianicolo.
Non meno importante è l’opera politica di questo Papa; notevole sopra tutto è la fermezza che egli dimostrò nella lotta contro il Giansenismo, la soppressione da lui decretata di molti conventi stimati superflui, la rigidezza con la quale tenne sempre in alto il prestigio spirituale e politico della Santa Sede.
Il regno di Innocenzo X fu solamente turbato dalla debolezza del Pontefice per la cognata Olimpia Pamphilj Maidalchini, donna di singolare intelligenza e volontà, che seppe abilmente profittare della situazione precaria di un vegliardo e della fiducia riposta in lei per esercitare un’influenza personale. Innocenzo X cercò però di resistere a tale influenza giungendo ad allontanare da sè per qualche tempo ia cognata e gli stessi parenti.
La discendenza diretta dei Pamphilj non durò più di tre generazioni dopo quella del Pontefice. Nella seconda metà del secolo XVIII il nome e la fortuna di questa Casa, per matrimonio di una Pamphilj con un Doria di Genova, dovevano passare a quest’altra fra le più antiche ed illustri famiglie italiane.
Gli annali della Repubblica di Genova non vanno al di là del 1100; ma sin da quel tempo remoto troviamo la famiglia Doria in possesso delle più alte dignità dello Stato. La sua origine risale tuttavia ben più lontano. I Doria sono i discendenti in linea diretta e non interrotta, di una stirpe di governanti che, sin dal 636 di Roma, reggeva la provincia di Narbona che Giulio Cesare, dopo aver conquistato la Settimagna e tutto il paese che dalle Alpi si stendeva ai Pirenei e al di là di questi fino a Barcellona, divise in due provincie separate Narbona prima e Narbona seconda, sotto il governo della famiglia che già ne teneva le redini.
Per lunga serie di generazioni il governo di Narbona rimase a questa stirpe potente e si mantenne così saggio e così rispettato per secoli che, quando l’antica provincia romana dell’impero pervenne ai Franchi, Carlo Magno, costituendo nel 778 dell’era volgare il reame di Aquitania, conferì il titolo di Visconte a Cixilano di Narbona, col quale era legato in parentela.
Nel 951 Corrado di Narbona de Volta, ambasciatore a Genova, sposò Cortesina, figlia del Visconte di Polcevera, e stabilitosi a Genova vi costruì il quartiere della Volta.
Guglielmo Arduino di Narbona, nel 990 E. V. si accinge a recarsi in Palestina per liberare i luoghi santi dalle mani dei Turchi e passando per Genova sosta presso i suoi congiunti della Volta. Ivi cade infermo di un morbo creduto dapprima mortale ed è soavemente assistito dalle due giovani figlie del suo parente. Rimane soprattutto toccato dall’avvenenza e dalla dolcezza della più giovane, di nome Oria e, riavutosi, fa voto di sposarla se tornerà sano e salvo dal viaggio di Palestina. Nell’anno successivo egli di ritorno dall’impresa toglie in moglie la gentile damigella Oria e la conduce in Narbona, ove rimasero per circa trent’anni.
Il bed and breakfast Roma centro è distante 15/20 minuti a piedi dal museo Doria Phamphilj.
Nel 1008 veniva a morte suo padre il Visconte Raimondo I, e Guglielmo Arduino gli succedeva nel dominio insieme al fratello Berengario. Regnarono così insieme tre anni, ma il cospicuo patrimonio che la consorte gli aveva recato in dote, costringeva Arduino a recarsi di frequente in Genova, sicché si decise a rinunciare in favore del fratello alla sua parte di sovranità, ricevendo compensi che consolidarono vieppiù le sue sostanze in Genova, ove si trasferì definitivamente.
Il nome e il titolo di Visconte di Narbona rimase al fratello Berengario e ai suoi successori. I figli di Arduino, in onore della madre furono chiamati di Oria (in latino « ab Auria » o « de Auria ») più tardi, volgarizzato in D’Oria e finalmente divenuto Doria.
I discendenti di Arduino ed Oria tennero anche per un tempo abbastanza lungo il regno di Arborea e di Sardegna.
Nel 1466 nasceva il grande ammiraglio Andrea Doria del ramo dei Principi di Oneglia in questa città, che illustratosi per innumerevoli gesta sul mare, divenne amico e consigliere di Francesco I di Francia. Ma un dissenso di Corte lo allontanò da quel sovrano e Andrea passò ai servigi di Carlo V, col quale rimase tutta la vita nonostante i richiami del pentito Re di Francia. Fra le molte congiure dirette contro la sua persona e la libertà della Repubblica, da lui sempre proclamata e voluta, rimase famosa quella dei Fieschi. Andrea seppe abbatterla ed al governo ed al popolo che volevano incoronarlo Doge, egli rispose che avendo difeso la libertà della Repubblica, non voleva erigersi a suo padrone. Fu allora proclamato « Pater et liberator Patriae ».
Fino a quel giorno i Doria di Genova, benché ricchi e potenti, non avevano altri titoli nobiliari nè infeudamenti imperiali. Preferivano prestare le loro forze militari e marittime in ogni causa ove dovesse trionfare la giustizia e germogliare la civiltà.
Fu dopo l’assistenza prestata a Carlo V in varie guerre contro i Turchi, Saraceni ed altri che l’Imperatore, nel dare riposo e congedo ai suoi amici e seguaci, cercò invano di stabilire compensi in danaro a favore di Andrea Doria. Il glorioso guerriero rifiutò e Carlo V, allora, per conferirgli nuovi onori e nuove ricchezze, ricorse ad un nobile stratagemma.
Gli fece dono di uno dei cani dei quali l’imperatore stesso amava essere circondato e per il mantenimento dell’animale investì Andrea del feudo di Melfi, e lo nominò Principe e signore della provincia di Basilicata.
Alessandro M. Frattini – Conservatore della Galleria Doria Pamphilj.